Il suolo condominiale, solo in apparenza è di facile qualificazione. Il codice civile si limita a citarlo nell’art. 1117 c.c. – “il suolo su cui sorge l’edificio”- e pertanto nel corso del tempo è stato oggetto di diverse teorie giurisprudenziali.
Si possono individuare a mero titolo esemplificativo due diverse definizioni di suolo:
a) l’area circoscritta dalle fondazioni e dai muri perimetrali su cui sorge l’edificio;
b) parte immediatamente sottostante il livello del pavimento del pian terreno.
La diversa qualificazione di suolo, porta a diverse conseguenze sul piano dei poteri di godimento dei condomini.
L’adesione alla seconda teoria comporterebbe che subito sotto il pavimento inizierebbe il suolo comune, con la conseguenza che il proprietario del pian terreno non potrebbe farne alcun uso, laddove per i sostenitori della prima teoria è possibile che lo spazio vuoto tra il pavimento al p.t. e tale “suolo” sia privato, sicchè il proprietario sarebbe il condomino del p.t, potendone questo disporre liberamente e a proprie spese con il limite di non danneggiare o minare la sicurezza del palazzo.
Diversa teoria oggi prevalente qualifica il suolo come quella “porzione di terreno su cui poggia l’intero edificio e, immediatamente, la parte infima di esso”. Rientrano, pertanto, in tale nozione “l’area dove sono infisse le fondazioni e la superficie sulla quale poggia il pavimento del pianterreno, non anche quest’ultimo. Ne consegue che i condomini sono comproprietari non della superficie a livello di campagna, bensì dell’area di terreno sita in profondità – sottostante, cioè, la superficie alla base del fabbricato – sulla quale posano le fondamenta dell’immobile” (Cass. n. 8119/2004).
Secondo questa teoria, le spese necessarie per la sua conservazione e godimento sono da ripartire in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascun condomino ex art. 1123, 1 comma, c.c.
È inibito, inoltre, “al singolo condomino, in difetto di prova di avere acquistato in base a valido titolo porzioni di esso, di assoggettarlo a proprio uso esclusivo impedendone il pari uso agli altri condomini senza il consenso di costoro” (Cass. n. 14350/2000).
Esiste una eccezione ulteriore, in caso di edifici, separati e autonomi, eretti sul medesimo suolo su cui è sorto lo stabile condominiale, la giurisprudenza ha stabilito che “l’estensione della proprietà condominiale ad edifici separati ed autonomi rispetto all’edificio in cui ha sede il condominio può essere giustificata soltanto in ragione di un titolo idoneo a far ricomprendere il relativo manufatto nella proprietà del condomino stesso” (Cass. n. 9105/2013) e, dunque, la qualifica di bene comune, non è automatica.
Suolo adiacente e circostante
Come visto in precedenza esiste una presunzione di comunione ex art. 1117 c.c. del “suolo su cui sorge l’edificio”, tale presunzione non opera con riferimento all’area circostante o adiacente il fabbricato condominiale, diversamente qualificato dalla giurisprudenza potendo esso “rientrare tra le cose comuni unicamente per diverso titolo, potendo trovarsi in rapporto di accessorietà o di pertinenza con l’edificio stesso” (Cass. n. 273/1984).
L’area “de qua” non presenta quelle caratteristiche “di oggettiva destinazione del bene all’uso comune che renderebbe applicabile la citata presunzione” (Trib. Trani 27.7.2004); per cui, sarà necessario accertare se ricorrono gli elementi tipici del vincolo pertinenziale (ovvero, l’esistenza di un elemento oggettivo, consistente nella destinazione di un bene accessorio al servizio o all’ornamento del bene principale, e di un elemento soggettivo, consistente nella rispondenza di tale destinazione all’effettiva volontà dell’avente diritto di creare tale vincolo a norma dell’art. 817 c.c.), valutando “lo stato effettivo dei luoghi ed i rapporti intercorrenti tra i manufatti condominiali e l’adiacente spazio”, sulla base di un accertamento che si traduce in un apprezzamento di fatto, incensurabile in Cassazione (Cass. n. 2999/1988).
Subito sotto il suolo v’è il sottosuolo, non disciplinato dalla legge ma ovviamente di parte comune perché avente funzione di sostegno del fabbricato.