Siamo ben consapevoli che la vita in un edificio condominiale richiede, per i proprietari delle singole unità abitative, l’esborso di alcuni oneri per la gestione e la conservazione delle parti comuni. Ricordiamo, infatti, che la fattispecie giuridica del condominio si caratterizza per la compresenza, all’interno di un unico edificio, di più unità immobiliari caratterizzate dalla proprietà esclusiva e dalla compresenza di parti comuni, gestite in comproprietà. Tali parti comuni sono caratterizzate dal fatto che il loro uso e la loro destinazione attengono alla conservazione e al miglior godimento dell’edificio stesso: basti pensare alle scale, all’ascensore, al tetto, al giardino o al parcheggio.
Naturalmente, la gestione e la conservazione delle parti comuni richiede, per i singoli condomini, il versamento di alcuni importi a seconda delle spese da affrontare: queste ultime potranno essere di conservazione, spettanti a tutti i condomini proprietari, o potranno essere di uso o di esercizio, spettanti solo ai condomini che utilizzano il servizio e nella misura in cui lo utilizzano (esempio classico è l’uso dell’ascensore). Molto più importante è la distinzione tra gli interventi di ordinaria manutenzione del condominio e quelli di straordinaria manutenzione, soprattutto per comprendere il tema oggetto di questa analisi: la prescrizione dei crediti del condominio. Iniziamo col dire che le spese di manutenzione sono fondamentali per mantenere il condominio in buono stato:
- le spese attinenti l’ordinaria manutenzione sono quelle più generiche e prevedibili, di lieve entità e di solito programmabili. Si tratta di tutte quelle riparazioni funzionali all’efficienza dell’edificio e dei suoi impianti, che sono ripetute nel tempo costantemente: vi rientrano le riparazioni generiche, le piccole opere edili, il cambio della serratura delle porte, la sostituzione delle lampadine; la pulizia e la manutenzione delle scale, del giardino o dell’androne;
- le spese concernenti la straordinaria manutenzione sono, invece, impreviste e, generalmente, richiedono una notevole spesa di denaro: il rifacimento della facciata, il restauro delle scale, l’impermeabilizzazione dei solai ne sono un esempio.
Naturalmente, tutti i condomini, anche se in misura diversa, sono tenuti al versamento degli oneri condominiali, siano essi ordinari o straordinari: per i proprietari condomini si tratta di veri e propri debiti nei confronti del “condominio”, quale istituto giuridico sorto per gestire la cosa comune.
La vincolatività di tale imposizione si percepisce dall’art. 1129 c.c. secondo cui: “salvo che sia stato espressamente dispensato dall’assemblea, l’amministratore è tenuto ad agire per la riscossione forzosa delle somme dovute dagli obbligati entro sei mesi dalla chiusura dell’esercizio nel quale il credito esigibile è compreso, anche ai sensi dell’articolo 63, primo comma, delle disposizioni per l’attuazione del presente codice”.
Il richiamo al predetto articolo è utile per comprendere il ruolo dell’amministratore condominiale il quale, nel caso di inquilini morosi nei confronti del condominio, dovrà agire per la riscossione coatta delle somme dovute dagli obbligati entro 6 mesi dalla chiusura dell’esercizio in cui è compreso il credito esigibile, a meno che non sia dispensato dall’assemblea dei condomini. Tralasciando quest’ultima ipotesi, dunque, l’amministratore condominiale dovrà nominare un avvocato, senza alcuna necessità di sottoporre il nominativo al voto assembleare, e potrà procedere con la sua assistenza a richiedere, in tribunale, un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo in danno dei proprietari morosi. Il problema che si pone, a tal proposito, è la mancata attivazione della procedura di riscossione coattiva delle quote insolute da parte dell’amministratore, provocando l’inesorabile decorso del termine semestrale ex art. 1129 c.c.: in questi casi, il condominio potrà perdere, per il decorso inutile del tempo, il diritto a riscuotere le quote condominiali? I crediti condominiali sono, dunque, soggetti all’istituto della prescrizione?
È opportuno ricordare, prima di entrare nel merito della risposta, cosa si intende per prescrizione civile.
Il nostro codice civile regolamenta questo istituto giuridico negli artt. 2934 e ss e ne dà la seguente definizione: “ogni diritto si estingue per prescrizione quanto il titolare non lo esercita per il tempo determinato dalla legge. Non sono soggetti alla prescrizione i diritti indisponibili e gli altri diritti indicati dalla legge”. Si tratta di una causa generale di estinzione dei diritti in seguito all’inerzia del titolare, il quale non esercita il diritto stesso per un determinato periodo di tempo. La ratio di tale istituto si ravvisa nell’interesse pubblico alla certezza del diritto, sanzionando l’inerzia, per un periodo prolungato di tempo, del titolare del diritto soggettivo, anche se ultimamente si fa rinvenire il fondamento della prescrizione civile nella volontà di risolvere i conflitti tra titolari di situazioni giuridiche contrapposte.
La norma in esame, inoltre, afferma che tutti i diritti sono soggetti a prescrizione, fatta eccezione per quelli indisponibili. Il termine di prescrizione ordinario è di 10 anni, ma è pur vero che il periodo di tempo varia a seconda delle diverse fattispecie: esistono casi in cui il termine di prescrizione è più lungo di quello ordinario, come quello ventennale relativo ai diritti reali su cosa altrui, così come esistono le c.d. prescrizioni brevi, con un termine ridotto a 5 anni (es: azione di annullabilità, i fitti e i corrispettivi di locazioni, gli interessi, le indennità spettanti per la cessazione del rapporto di lavoro), a 3 anni (es: compenso del professionista), ad un solo anno o, addirittura, a 6 mesi. Il termine di prescrizione, infine, inizia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere.
Ciò che ci interessa esaminare, una volta espostane la disciplina in termini molto generali, è l’applicabilità di tale istituto ai crediti condominiali. Ricordiamo che tale tipologia di crediti, concernenti le spese condominiali, rientra sicuramente tra i diritti disponibili, suscettibili dunque di estinzione per prescrizione. A tal proposito, richiamiamo in primis l’art. 2948 c.c. che, al n. 4, stabilisce la prescrizione breve di 5 anni per “gli interessi e, in generale, per tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi”: la norma citata è un primo punto di approdo per far rientrare le spese condominiali nell’ambito della prescrizione breve, in considerazione del fatto che il legislatore, neanche con la recente L. n. 220/2012, ha inteso tipizzare la prescrizione delle quote condominiali.
È subentrato, in tal senso, l’orientamento giurisprudenziale della Corte di Cassazione: “nel caso delle spese condominiali, per loro natura periodiche, trova applicazione il disposto dell’art. 2984 c.c. n. 4 in ordine alla prescrizione quinquennale dei relativi crediti, la cui decorrenza è rapportarsi alla data della delibera di approvazione del rendiconto delle spese e del relativo stato di riparto. Tale delibera costituisce il titolo di credito nei confronti del singolo condomino”. (Sent. n. 12596/2002; Sent. n. 4489/2014; Sent. n. 15288/2005).
Ne deduciamo, dunque, che il termine ordinario di prescrizione si compie decorsi 10 anni, ma è previsto un termine breve di cinque anni giustificato dalla periodicità della prestazione: tale è indubbiamente quelle relativa alle spese condominiali fisse, definite anche di ordinaria manutenzione.
Come abbiamo avuto modo di evidenziare, infatti, è opportuno distinguere le due tipologie di oneri, proprio perché, a seconda della natura della spesa, si assiste ad una autonoma prescrizione: per le spese condominiali di ordinaria manutenzione, come tali programmabili e fisse, come la pulizia ordinaria dell’edificio, la manutenzione o il pagamento delle utenze, il termine prescrizionale è quello breve di 5 anni; per le spese di straordinaria manutenzione, caratterizzate dalla imprevedibilità, e come tali verificabili una tantum, si considera il termine prescrizionale ordinario decennale.
Occorre poi individuare il momento preciso a partire dal quale inizia a decorrere il termine di prescrizione delle quote condominiali, considerando che una volta decorso il termine, il diritto a riscuotere le quote si estingue e non sarà più possibile recuperare il credito. Partendo dal presupposto che, ai sensi dell’art. 2935 c.c., “la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere”, la Corte di Cassazione ha affermato che “L’obbligazione in base alla quale ciascuno dei condomini è tenuto a contribuire alle spese per la conservazione e manutenzione delle parti comuni dell’edificio, qualora la ripartizione delle spese sia avvenuta soltanto con l’approvazione del rendiconto annuale dell’amministratore, ai sensi dell’art. 1135 n. 3 c. c., sorge soltanto dal momento della approvazione della delibera assembleare di ripartizione delle spese; ne consegue che la prescrizione del credito nei confronti di ciascun condomino inizia a decorrere soltanto dalla approvazione della ripartizione delle spese e non dell’esercizio di bilancio” (Sent. n. 11981/1992).
La prescrizione delle quote condominiali, dunque, decorre dalla delibera di approvazione del rendiconto e dello stato di riparto: è la delibera di approvazione della spesa a far generare, in capo al Condominio quale ente di gestione, il credito condominiale; la delibera suddetta, così come i rendiconti e i relativi piani di riparto, rappresentano quei documenti che provano la certezza, la liquidità e la esigibilità del credito condominiale. Sarà sulla base di tale documentazione, quindi, che l’amministratore condominiale potrà chiedere e ottenere dal giudice un decreto ingiuntivo al fine di riscuotere le quote condominiali non versate.
Ricordiamo, ancora, che il termine per la decorrenza della prescrizione potrà essere interrotto, da parte dell’amministratore, con la notifica del decreto ingiuntivo o di qualsiasi altro atto, teso a sollecitare il versamento degli oneri condominiali: si pensi all’invio di una lettera di messa in mora al condomino inadempiente, con la richiesta di pagamento anche di tutte le quote condominiali scadute, nel rispetto del termine di prescrizione, bloccando il decorso dello stesso e facendolo decorrere nuovamente da capo.
Infatti, l’amministratore può convocare l’assemblea per l’approvazione di un nuovo stato di riparto, che sia comprensivo anche di quote condominiali scadute pregresse, che fanno parte dei saldi negativi degli esercizi precedenti: questo vuol dire che il nuovo stato di riparto delle spese, con il riepilogo contabile di tutti i debiti e i crediti pluriennali, sarà approvato dall’assemblea condominiale, con la susseguente possibilità di ottenere un decreto di ingiunzione, immediatamente esecutivo, per riscuotere anche i crediti condominiali precedenti. I saldi negativi e le morosità degli esercizi precedenti, così, costituiscono parte integrante del nuovo rendiconto, cristallizzandosi e diventando esigibili nel tempo, rinnovando automaticamente il termine di prescrizione delle quote condominiali.
Infine, per ragioni di completezza, occorre distinguere il termine di prescrizione degli oneri condominiali a seconda che si tratti dell’obbligo di pagamento del proprietario verso il condominio, o dell’obbligo di pagamento del conduttore inquilino al locatore dell’immobile.
Come ben sappiamo, il condomino è tale solo se è proprietario di almeno una unità immobiliare all’interno dell’edificio; tale qualifica non spetta di certo all’inquilino: se ne deduce che il termine di prescrizione quinquennale, di cui abbiamo parlato, concerne il rapporto di debito tra proprietario e condominio. Nel caso in cui l’appartamento venga concesso in locazione, avremo un ulteriore rapporto caratterizzato dal fatto che l’inquilino dovrà versare al locatore solo quelle quote di condominio a lui spettanti e dovute per legge (quelle concernenti gli interventi di ordinaria manutenzione).
Ma obbligato verso il condominio resta sempre e solo il proprietario dell’immobile: di conseguenza, se il conduttore diventa moroso, il locatore potrebbe rischiare di vedersi notificare un decreto ingiuntivo da parte dell’amministratore condominiale. Onde evitare questo, il proprietario stesso potrà agire nei confronti del proprio inquilino, per ottenere le spese di condominio su di lui gravanti: ricordiamo però che, in tal caso, la Cassazione ha sostenuto che “il locatore potrà esigere dal conduttore il versamento delle quote condominiali entro e non oltre un biennio” (Sent. n. 7184/2003, Ord. n. 3947/2015), sottolineando, quindi, un termine prescrizionale di 2 anni.
